Capitolo gratuito
Parte prima
Periodi, temi e personaggi della
teologia cristiana
Introduzione
Chiunque rifletta sui grandi problemi della teologia cristiana scoprirà presto che molti di questi sono stati già affrontati in altri periodi. è praticamente impossibile fare teologia come se non fosse già stata fatta prima d’ora. C’è sempre un motivo per guardare indietro, per vedere come si sono svolte le cose nel passato, e quali risposte sono già state date. Una parte della nozione di “tradizione” sta nella volontà di prendere sul serio l’eredità teologica del passato. Karl Barth esprime questa idea in forma molto acuta:
Non possiamo essere nella chiesa senza assumerci altrettanta responsabilità per la teologia del passato di quanta ce ne assumiamo per quella del presente. Agostino, Tommaso d’Aquino, Lutero, Schleiermacher e tutti gli altri non sono morti, ma viventi. Essi parlano ancora e chiedono di essere ascoltati come voci viventi, altrettanto sicuramente del fatto che sappiamo di appartenere insieme, loro e noi, alla chiesa.
è quindi importante che il lettore acquisisca familiarità con il passato cristiano, che ci offre punti di riferimento vitali per il dibattito moderno. La parte prima di quest’opera ha lo scopo di presentare una panoramica generale dello sviluppo della teologia cristiana, identificando periodi, temi e personaggi principali che hanno modellato tale processo evolutivo. Particolare attenzione sarà data agli sviluppi successivi al Rinascimento, in quanto questi hanno avuto maggiore impatto sulla teologia moderna occidentale. Tuttavia, una sia pur veloce incursione su alcuni aspetti dello sviluppo della teologia nel periodo patristico e medievale è indispensabile, costituisce materiale informativo essenziale per un solido studio della teologia moderna. Quest’opera ha quindi lo scopo di presentare la panoramica di alcuni dei più importanti sviluppi collegati con questi periodi, inclusi i seguenti:
• la collocazione geografica dei centri del pensiero cristiano;
• i problemi teologici in discussione;
• le scuole di pensiero associate ai problemi teologici;
• i teologi più rilevanti dei vari periodi e i loro contributi specifici.
Nel successivo breve sommario dello sviluppo della teologia cristiana si prenderanno in considerazione i seguenti periodi formativi:
• il periodo patristico, 100 ca-451 (cap. 1);
• il Medioevo e il Rinascimento, 1050-1500 ca (cap. 2);
• la Riforma e il periodo post-Riforma, 1500-1750 ca (cap. 3);
• il periodo moderno, dal 1750 ca al presente (cap. 4).
è naturalmente difficile tracciare linee di divisione nette tra molti di questi periodi. Per esempio, i rapporti fra Medioevo, Rinascimento e Riforma sono controversi; alcuni studiosi ritengono che gli ultimi due siano la prosecuzione del primo, mentre altri li considerano movimenti distinti l’uno dall’altro, ciascuno con una sua specificità. Il lettore sa molto bene che ogni periodizzazione storica è soggetta a un certo grado di arbitrarietà!
1
Il periodo patristico
(100ca-451)
Il cristianesimo ha le sue origini in Palestina, più specificamente nella regione della Giudea, e in particolare nella città di Gerusalemme. Il cristianesimo si considerò come continuazione e sviluppo dell’ebraismo. All’inizio fiorì in paesi tradizionalmente associati all’ebraismo, fra cui la Palestina. Tuttavia, si diffuse rapidamente nei paesi vicini, in parte per gli sforzi di evangelizzatori del cristianesimo primitivo come Paolo di Tarso. Alla fine del I secolo, il cristianesimo sembrava ben insediato in tutta l’area del Mediterraneo orientale, e contava una presenza significativa anche nella città di Roma, la capitale dell’impero romano. Man mano che la chiesa di Roma diveniva sempre più potente, si manifestarono tensioni fra il primato di Roma e quello di Costantinopoli, ponendo così le basi per il successivo scisma fra le chiese d’Occidente e quelle d’Oriente, centrato sulle rispettive sedi del potere ecclesiastico.
Nel corso di tale espansione si misero in luce un gran numero di paesi come significativi centri del dibattito teologico. Indicheremo soltanto tre zone, in quanto ebbero un’importanza rilevante: le prime due nell’area di lingua greca, la terza nell’area di lingua latina.
1. La città di Alessandria, nell’odierno Egitto, la quale emerse come un centro di studi teologici. A questa città venne associata un’impostazione teologica particolare, che rifletteva il suo collegamento di lunga data con la tradizione platonica. Il lettore troverà riferimenti all’impostazione teologica “alessandrina” in aree come la cristologia e l’interpretazione biblica (vedi 1.4.4 e 9.4.3), le quali riflettono sia l’importanza sia la specificità del tipo di cristianesimo collegato con quest’area geografica.
2. La città di Antiochia e la circostante regione della Cappadocia nella moderna Turchia. Una forte presenza cristiana si stabilì in questa regione settentrionale del Mediterraneo orientale fin dai primi tempi. Alcuni dei viaggi missionari di Paolo lo condussero in questo paese, e Antiochia ebbe un ruolo significativo in molti momenti della storia del cristianesimo primitivo, come ci viene ricordato nel libro degli Atti degli apostoli. Antiochia stessa divenne presto un importante centro della riflessione cristiana. Come Alessandria, anch’essa fu associata a formulazioni particolari della cristologia e dell’interpretazione biblica. Il termine “antiocheno” viene spesso utilizzato per indicare questa impostazione teologica specifica (vedi 6.4.4 e 9.4.4). I “Padri della Cappadocia” costituirono un’importante presenza teologica in questa regione nel corso del IV secolo, soprattutto per il loro contributo alla formulazione della dottrina della Trinità.
3. L’Africa nord-occidentale, in particolare l’area dell’odierna Algeria. Nel tardo periodo classico, qui si ergeva Cartagine, una grande città mediterranea e nello stesso tempo una rivale politica di Roma per il predominio nella regione. Nel periodo di espansione del cristianesimo in questa regione, essa divenne una colonia romana. Fra i maggiori teologi scrittori di quest’area si annoverano Tertulliano, Cipriano di Cartagine e Agostino di Ippona.
Questo non significa che le altre città del Mediterraneo fossero prive di importanza. Roma, Costantinopoli, Milano, Gerusalemme costituivano anch’esse centri di riflessione teologica cristiana, anche se nessuna di queste era destinata ad assumere lo stesso peso delle prime.
1.1 Spiegazione dei termini
Il termine “patristico” deriva dalla parola latina pater, padre, e indica sia il periodo dei Padri della chiesa sia le idee specifiche che furono elaborate in quel periodo. L’espressione non è inclusiva; nessuna espressione inclusiva accettata da tutti è ancora emersa nella discussione specialistica. Occorre prendere nota delle seguenti espressioni collegate che si incontreranno di frequente:
• Periodo patristico – Si tratta di un periodo vagamente definito, il cui inizio viene fatto coincidere con la chiusura del canone degli scritti del Nuovo Testamento (100 ca), e la fine con il Concilio di Calcedonia (451).
• Patristica – Questa espressione viene comunemente usata per indicare un ramo degli studi teologici riguardante lo studio dei “padri” (patres).
• Patrologia – Questo termine un tempo significava letteralmente “lo studio dei Padri”, nello stesso senso in cui “teologia” significava “lo studio di Dio” (theos). Negli ultimi anni, tuttavia, la parola ha assunto un altro significato. Ora si riferisce a un manuale di teologia patristica, come quello del famoso studioso tedesco Johannes Quasten (e prima di lui quello di Berthold Altaner), che consente al lettore un facile accesso alle idee principali dei teologi del periodo della patristica, e ad alcuni problemi di interpretazione a loro collegati.
1.2 Una panoramica del periodo patristico
Il periodo patristico è uno dei momenti più stimolanti e creativi della storia del pensiero cristiano. Già questa sua singola caratteristica è sufficiente ad assicurare che continuerà a essere argomento di studio ancora per molti anni a venire. Quel periodo è importante anche per motivi teologici. Ogni confessione cristiana ben identificabile – includendo le chiese della comunione anglicana, quelle ortodosse orientali, le luterane, le riformate e la cattolico-romana – considera il periodo patristico come una pietra miliare nello sviluppo della dottrina cristiana. Ciascuna di queste chiese si considera colei che continua, estende e, dove necessario, critica le impostazioni dei teologi della chiesa primitiva. Per esempio, il principale teologo anglicano del XVII secolo, Lancelot Andrewes (1555-1626), ha dichiarato che l’ortodossia del cristianesimo si basa su due Testamenti, su tre Credi, su quattro Vangeli e sui primi cinque secoli di storia del cristianesimo.
Questo periodo è d’importanza centrale per aver chiarito un gran numero di problemi teologici. Il primo compito fu quello di risolvere il problema dei rapporti fra cristianesimo ed ebraismo. Le lettere di Paolo presenti nel Nuovo Testamento testimoniano dell’importanza di questo problema nel corso del primo secolo della storia del cristianesimo, quando furono affrontati una serie di aspetti dottrinali e pratici. I pagani (cioè i non-ebrei) devono essere obbligati alla circoncisione? E come si deve interpretare in modo corretto l’Antico Testamento?
Tuttavia, emersero presto altri argomenti. Uno di enorme rilevanza nel corso del II secolo fu quello dell’apologetica, cioè la difesa e la giustificazione ragionata della fede cristiana contro critici e avversari. Nel corso del primo periodo della storia del cristianesimo, la chiesa fu spesso perseguitata da parte dello Stato. Il primo problema all’ordine del giorno era sopravvivere; c’era poco spazio per le dispute teologiche quando la stessa esistenza della chiesa non era garantita. Questa osservazione ci aiuta a comprendere perché l’apologetica arrivò ad assumere così grande rilevanza per la chiesa primitiva, con il contributo di scrittori come Giustino Martire (100-165 ca), impegnati a spiegare e difendere le credenze e le pratiche del cristianesimo di fronte a un pubblico pagano ostile. Per quanto questo primo periodo abbia prodotto teologi di primo piano – come Ireneo di Lione (130-200 ca) in Occidente, e Origene (185-254 ca) in Oriente – il dibattito teologico non poté veramente iniziare se non dopo che la chiesa cessò di essere perseguitata.
Tali condizioni divennero possibili nel corso del IV secolo, con la conversione dell’imperatore Costantino. Nel periodo in cui fu imperatore (306-337), Costantino riuscì a riappacificare chiesa e impero, con il risultato che la chiesa non visse più con la mentalità di essere assediata. Nel 321 l’imperatore emanò un decreto che faceva della domenica un giorno di festa pubblica. Come risultato dell’influenza di Costantino sull’impero, i dibattiti teologici costruttivi cominciarono a essere un fatto pubblico. A parte un breve periodo di incertezza nel corso del regno di Giuliano l’Apostata (361-363), la chiesa poteva ora contare sull’appoggio dello Stato. La teologia uscì così dal mondo clandestino degli incontri segreti nelle chiese, per diventare oggetto di interesse e di impegno pubblico in tutto l’impero romano. I dibattiti dottrinali divennero sempre più materia di rilevanza sia politica sia teologica: Costantino voleva avere una chiesa unita in tutto il suo impero, perciò si impegnò per far sì che le differenze dottrinali potessero essere dibattute e superate come questioni della massima importanza.
Come risultato, l’ultima parte del periodo patristico (dal 310 al 451 ca) può essere considerato un grande spartiacque nella storia della teologia cristiana. I teologi ora godevano della libertà di lavorare senza la minaccia della persecuzione, e furono in grado di affrontare una serie di argomenti della massima rilevanza per il consolidamento del consenso teologico emergente all’interno delle chiese. Per arrivare a questo consenso fu necessario un dibattito molto esteso, e un processo di apprendimento doloroso in cui la chiesa scoprì di dover affrontare il disaccordo e le continue tensioni interne. Ciò nonostante, si può notare un livello significativo di consenso, che si andava formando all’interno di questo periodo e che alla fine si condensò nei Credi ecumenici.
Il periodo patristico è ovviamente di estrema rilevanza per la teologia cristiana. Oggi molti studenti in teologia, tuttavia, lo trovano molto complesso. Questa sensazione può essere originata da quattro importanti motivazioni:
1. Alcuni dei dibattiti del periodo appaiono irrimediabilmente privi di ogni rilevanza per il mondo moderno. Per quanto essi fossero considerati importanti al loro tempo, per il lettore moderno è spesso difficile appassionarsi agli argomenti in discussione e comprendere perché essi abbiano attirato così tanta attenzione. Per questo aspetto, è interessante mettere in contrasto il periodo patristico con il periodo della Riforma, nel corso della quale furono sollevati molti argomenti che sono ancora di interesse attuale per la chiesa moderna; molti insegnanti di teologia scoprono che i loro studenti sono in grado di immedesimarsi molto più facilmente nei problemi di quest’ultimo periodo.
2. Molti dei dibattiti patristici ruotano attorno ad aspetti filosofici, e hanno un senso soltanto se il lettore ha un minimo di familiarità con i dibattiti filosofici del tempo. Alcuni studenti di teologia hanno una qualche familiarità con le idee che si trovano nei dialoghi di Platone: furono proprio queste idee a essere sviluppate e sottoposte a critica serrata nel mondo mediterraneo durante il periodo patristico. Il medioplatonismo e il neoplatonismo differiscono significativamente l’uno dall’altro e dalle stesse idee originali di Platone. L’estraneità di molte idee filosofiche di quel periodo agisce come un’ulteriore barriera contro il loro studio, rendendo difficile, per gli studenti che iniziano i corsi di teologia, apprezzare completamente l’oggetto di cui si tratta in alcuni dei dibattiti patristici.
3. Il periodo patristico è caratterizzato da un’immensa diversità dottrinale. Si era in un’epoca di continui mutamenti, durante la quale le pietre miliari e gli standard della fede – inclusi i documenti fondamentali come il Credo di Nicea e i dogmi sulle due nature di Cristo – stavano emergendo poco alla volta. Gli studenti, familiari con la relativa stabilità della dottrina cristiana in altri periodi (come nel tempo della Riforma, in cui la dottrina della natura di Cristo non era il tema dominante), trovano spesso sconcertante questo aspetto del periodo patristico.
4. Questo periodo fu testimone di una grande divisione, di carattere sia politico sia linguistico, fra la chiesa orientale di lingua greca e quella occidentale di lingua latina. Molti studiosi notano una netta differenza di temperamento teologico fra i teologi orientali e quelli occidentali: i primi sono spesso orientati filosoficamente e inclini a speculazioni teologiche, mentre i secondi sono spesso ostili all’intrusione della filosofia nella teologia, e considerano quest’ultima come l’esplorazione delle dottrine presenti nella Scrittura. La nota domanda retorica del teologo occidentale Tertulliano (160-225 ca): “Che cosa c’è in comune fra Atene e Gerusalemme? O fra l’Accademia e la chiesa?”, illustra a sufficienza questo punto.
1.3 Teologi principali
Nel corso di quest’opera si farà riferimento a un numero significativo di teologi del periodo patristico. I seguenti sei autori, tuttavia, sono di importanza notevole, e meritano di essere messi in evidenza con un’annotazione particolare.
1.3.1 Giustino Martire (100-165 ca)
Giustino Martire è forse il più grande fra gli apologeti: così sono chiamati gli scrittori cristiani del II secolo che si preoccupavano di difendere la fede cristiana di fronte all’intensa critica di autori pagani. Nella sua Prima Apologia, Giustino sosteneva che si potevano trovare tracce di verità cristiana nei grandi scrittori pagani. La sua dottrina del logos spermatikos (“parola portatrice di seme”) gli permise di affermare che Dio aveva preparato la via per la sua rivelazione finale in Cristo mediante accenni della sua verità nella filosofia classica. Giustino si presenta a noi come un importante esempio di teologo dell’antichità che cerca di collegare l’evangelo alla filosofia greca, una tendenza di pensiero diffusa in particolare nella chiesa orientale.
1.3.2 Ireneo di Lione (130-200 ca)
Si ritiene che Ireneo sia nato a Smirne (una città dell’odierna Turchia) e che successivamente si stabilì a Roma. Divenne vescovo di Lione verso il 178, una carica che mantenne fino alla sua morte due decenni più tardi. Ireneo è famoso soprattutto per la sua difesa vigorosa dell’ortodossia cristiana di fronte alla sfida dello gnosticismo (vedi 1.4.2). La sua opera più significativa, Contro tutte le eresie (Adversus omnes haereses), costituisce una delle maggiori difese della comprensione cristiana della salvezza, e in particolare del ruolo della tradizione nel rimanere fedeli alla testimonianza apostolica di fronte alle interpretazioni non cristiane.
1.3.3. Origene (185-254 ca)
Uno dei maggiori difensori del cristianesimo nel III secolo – Origene – pone un importante fondamento per lo sviluppo del pensiero cristiano orientale. I suoi contributi più significativi allo sviluppo della teologia cristiana si hanno in due àmbiti: nell’area dell’interpretazione biblica Origene diede impulso all’interpretazione allegorica, sostenendo che il significato storico, immediato, della Scrittura andasse distinto dal suo significato spirituale più profondo; nell’area della cristologia Origene ha impostato una tradizione che distingue fra la piena divinità del Padre, e una divinità di grado minore del Figlio. Alcuni studiosi vedono nell’arianesimo lo sviluppo naturale di tale impostazione. Origene adottò anche con entusiasmo l’idea della apokatástasis (ricapitolazione), secondo la quale tutte le creature – includendovi sia l’umanità sia Satana – saranno salvate (vedi 11.4.1).
1.3.4 Tertulliano (160-225 ca)
Tertulliano era d’origine pagana, nato nella città nordafricana di Cartagine, e si convertì alla fede cristiana verso i trent’anni. Egli viene spesso considerato il padre della teologia latina, a motivo del grande influsso che ha avuto sulla chiesa occidentale. Difese l’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento contro Marcione, che li aveva collegati a due diverse divinità. Così facendo, egli pose il fondamento della dottrina della Trinità. Tertulliano era fortemente contrario a rendere la teologia o l’apologetica cristiane dipendenti da fonti extra-bibliche. Egli si colloca fra i più fieri sostenitori del principio della sufficienza della Scrittura, denunciando quelli che si appellavano alle filosofie secolari (come quelle dell’Accademia di Atene) per la vera conoscenza di Dio.
1.3.5 Atanasio (296-373 ca)
L’importanza di Atanasio si collega in particolare all’argomento cristologico, che divenne d’importanza centrale nel corso del IV secolo. Forse appena ventenne, Atanasio scrisse il trattato De incarnatione (Sull’incarnazione), una poderosa difesa dell’idea che Dio avesse assunto la natura umana nella persona di Gesù Cristo. Questo argomento si dimostrò d’importanza centrale nel corso della controversia ariana (vedi 9.4.2), alla quale Atanasio diede un contributo decisivo. Egli fece notare che se, come sosteneva Ario, Cristo non era pienamente Dio, ne sarebbe seguita una serie di implicazioni devastanti. Primo: sarebbe stato impossibile a Dio redimere l’umanità, in quanto nessuna creatura avrebbe potuto salvare un’altra creatura. Secondo: ne sarebbe derivato che la chiesa cristiana era colpevole di idolatria, in quanto i cristiani pregavano Cristo e gli rendevano regolarmente il culto. Siccome l’“idolatria” può essere definita come “culto di qualcosa creato o strutturato dall’essere umano”, ne seguiva che quel culto era idolatra. Questi argomenti alla fine prevalsero e condussero al rifiuto dell’arianesimo.
1.3.6. Agostino d’Ippona (354-430 ca)
Arrivati a parlare di Aurelio Agostino, più noto come “Agostino d’Ippona” – oppure più semplicemente “Agostino” – incontriamo quella che è la mente più grande e più influente della chiesa cristiana in tutta la sua storia. Attratto alla fede cristiana dalla predicazione di Ambrogio, vescovo di Milano, Agostino passò attraverso una drammatica esperienza di conversione. Raggiunta l’età di trentadue anni senza aver soddisfatto il suo bruciante desiderio di conoscenza della verità, Agostino stava lottando con le domande ultime sulla natura e sul destino dell’umanità in un giardino di Milano. Pensò di aver udito alcuni bambini nelle vicinanze che cantavano “Tolle, lege” (“Prendi e leggi”). Ritenendo che questa fosse una indicazione divina, si mise a leggere la prima parte del Nuovo Testamento che gli capitò fra le mani – la lettera di Paolo ai Romani – e fu colpito dalle parole: “Rivestitevi del Signore Gesù Cristo” (Rom. 13,14). Fu questo che fece decidere Agostino, le cui convinzioni pagane erano diventate sempre più vacillanti. Come egli stesso ha ricordato più tardi: “una luce di certezza entrò nel mio cuore, e ogni ombra di dubbio si dileguò”. Da quel momento in poi Agostino dedicò le sue enormi capacità intellettuali alla difesa e al consolidamento della fede cristiana, scrivendo con uno stile a un tempo appassionato e intelligente, che coinvolgeva sia il cuore sia la mente.
Soffrendo probabilmente di una qualche forma di asma, Agostino lasciò l’Italia e fece ritorno in Africa settentrionale, dove fu consacrato vescovo di Ippona (città nell’odierna Algeria) nel 395. Nei rimanenti trentacinque anni della sua vita fu testimone di numerose controversie di enorme rilevanza per il futuro della chiesa cristiana in Occidente, e il contributo di Agostino alla soluzione di ognuna di esse fu decisivo. La sua accurata esposizione del Nuovo Testamento, in particolare delle lettere di Paolo, gli conquistò la reputazione durata fino a oggi di “secondo fondatore della fede cristiana” (Gerolamo). Quando i secoli bui del Medioevo finalmente lasciarono l’Europa occidentale, la sostanza del corpus degli scritti teologici di Agostino costituì la base di un grande programma di rinnovamento e di sviluppo teologico, che consolidò la sua influenza sulla chiesa occidentale.
Una parte considerevole del contributo di Agostino è costituita dallo sviluppo della teologia come disciplina accademica. Non si può dire che la chiesa dei primi secoli avesse veramente sviluppato una qualche “teologia sistematica”. Il suo impegno primario consisteva nella difesa del cristianesimo contro i suoi critici (come nelle opere apologetiche di Giustino Martire), e di chiarire gli aspetti centrali del suo pensiero contro l’eresia (come negli scritti anti-gnostici di Ireneo). Ciò nonostante, il maggiore sviluppo dottrinale avvenne nel corso dei primi quattro secoli, specialmente in rapporto alla dottrina della persona di Cristo e alla dottrina della Trinità.
Il contributo di Agostino fu quello di compiere una sintesi del pensiero cristiano, e questo venne fatto in forma superba nel suo trattato di maggior peso: De civitate Dei (La città di Dio). Come il famoso racconto di Charles Dickens (Le due città), La città di Dio di Agostino è la storia di due città – la città dell’essere umano e la città di Dio (vedi 16.1.2). L’opera ha un tono apologetico: Agostino reagisce all’accusa che la caduta di Roma sia stata determinata dall’aver abbandonato il paganesimo classico in favore del cristianesimo. E tuttavia, difendendo il cristianesimo da queste accuse, egli giunse inevitabilmente a proporre una presentazione e un’esposizione sistematica delle linee portanti della fede cristiana.
Oltre a questo si può affermare che Agostino abbia proposto contributi chiave in tre aree maggiori della teologia cristiana: la dottrina della chiesa e dei sacramenti, problemi sollevati dalla controversia donatista (vedi 13.1.1); la dottrina della grazia, problema sollevato dalla controversia pelagiana (vedi 12.2), e la dottrina della Trinità (vedi 8.5.1). è interessante notare che Agostino non si è occupato di cristologia (cioè, la dottrina della persona di Cristo), la quale avrebbe avuto senza dubbio enormi benefici dalla sua particolare sapienza e acutezza.
1.4 Sviluppi teologici principali
Le seguenti aree della teologia furono esplorate con particolare vigore nel corso del periodo patristico.
1.4.1. La definizione del canone neotestamentario
Fin dal suo primo apparire, la teologia cristiana ha riconosciuto di avere le sue radici nelle Scritture. C’era, tuttavia, una qualche incertezza su che cosa indicasse realmente il termine “Scrittura”. Il periodo patristico fu testimone di un processo decisionale in cui furono fissati i limiti del Nuovo Testamento – un processo solitamente conosciuto come “la definizione del canone”. La stessa parola “canone” richiede un cenno di spiegazione. Essa deriva dal termine greco kanon che significa “regola” o “punto di riferimento prefissato”. Il “canone della Scrittura” si riferisce a un gruppo limitato e definito di scritti, che sono accolti come autorevoli nella chiesa cristiana. Il termine “canonico” viene utilizzato per riferirsi agli scritti presenti all’interno del canone. Così il Vangelo di Luca viene indicato come “canonico”, mentre il Vangelo di Tommaso è “extra-canonico” (o “apocrifo”, cioè non compreso nel canone della Scrittura).
Per gli autori del Nuovo Testamento il termine “Scrittura” significava in primo luogo uno scritto dell’Antico Testamento. Tuttavia, ben presto, gli scrittori del cristianesimo primitivo (come Giustino Martire) fecero riferimento al “Nuovo Testamento” distinguendolo dall’Antico Testamento, e insistendo che i due dovevano essere considerati di pari autorità. Fin dai tempi di Ireneo era comunemente accettata l’esistenza di quattro Vangeli; nella parte finale del II secolo si raggiunse un consenso affinché i Vangeli, gli Atti degli apostoli e le lettere avessero lo status di Scrittura ispirata. Così Clemente Alessandrino riconosceva come canonici i quattro Vangeli, gli Atti degli apostoli, le quattordici lettere paoline (la lettera agli Ebrei era considerata anch’essa paolina), e l’Apocalisse. Tertulliano dichiarava che accanto alla “legge e i profeti” c’erano gli “scritti evangelici e apostolici” (evangelicae et apostolicae litterae), che si dovevano considerare ambedue come autorevoli all’interno della chiesa. Gradualmente si raggiunse un accordo sull’elenco degli scritti che si dovevano riconoscere come Scrittura ispirata e nello stesso tempo l’ordine in cui dovevano essere disposti. Nel 367 Atanasio fece circolare la sua trentanovesima lettera paschale, che definiva canonici i ventisette libri del Nuovo Testamento, così come lo conosciamo oggi.
Il dibattito si concentrò soprattutto sul numero dei libri. La chiesa occidentale aveva alcune esitazioni riguardanti l’inclusione della lettera agli Ebrei, in quanto non era attribuita esplicitamente a nessun apostolo; la chiesa orientale aveva alcune riserve riguardanti l’Apocalisse. Quattro lettere minori (II Pietro, II e III Giovanni, Giuda) venivano spesso omesse dai primi elenchi di scritti del Nuovo Testamento. Altri scritti, oggi extra-canonici, venivano considerati con favore in alcuni settori della chiesa, per quanto essi alla fine non riuscirono ad essere universalmente accettati come libri canonici. In questo gruppo sono compresi la Prima lettera di Clemente (uno dei primi vescovi di Roma, che scrisse verso il 96) e la Didaché, un breve manuale proto-cristiano sulla morale e sulla prassi ecclesiastica, databile all’incirca nel primo quarto del II secolo.
Anche la disposizione dei diversi scritti subì numerose variazioni. Nei primi tempi si raggiunse un accordo in base al quale i Vangeli avrebbero avuto il posto d’onore all’interno del canone, seguiti dagli Atti degli apostoli. Le chiese d’Oriente tendevano a collocare le sette “epistole cattoliche” (cioè: Giacomo, I e II Pietro, I, II e III Giovanni, Giuda) prima delle quattordici lettere di Paolo (Ebrei era considerata paolina), mentre le chiese d’Occidente ponevano le lettere di Paolo immediatamente dopo Atti, seguite a loro volta dalle epistole cattoliche. L’Apocalisse chiudeva il canone sia in Oriente sia in Occidente, per quanto il suo status di libro canonico fosse stato oggetto di dibattito per qualche tempo all’interno delle chiese orientali.
Quali criteri furono seguiti nel definire il canone? Il principio fondamentale sembra essere stato quello del riconoscimento anziché quello dell’imposizione autoritaria. In altre parole, si riconobbe che gli scritti in questione fossero già in possesso di un’autorità intrinseca, e non avessero ricevuto un’autorità arbitraria imposta loro dall’esterno. Per Ireneo la chiesa non crea il canone, essa riconosce, conserva e riceve la Scrittura canonica sulla base dell’autorità che è già presente in essa. Sembra che alcuni cristiani dei primi tempi considerassero l’autorità apostolica (gli apostoli autori dei diversi scritti) di importanza decisiva; altri erano pronti ad accettare come canonici anche quei libri che non sembravano avere credenziali apostoliche. Tuttavia, per quanto i dettagli precisi di come avvenne la selezione rimangano poco chiari, è certo che il canone fu chiuso nell’àmbito della chiesa d’Occidente all’inizio del V secolo. Il problema del canone non sarà più messo in discussione fino all’epoca della Riforma.
1.4.2. Il ruolo della tradizione
La chiesa primitiva si trovò a dover far fronte a una grande sfida lanciata da un movimento conosciuto con il nome di gnosticismo. Questo movimento diversificato e multiforme, non dissimile dall’odierno fenomeno della New Age, riuscì ad avere un’enorme influenza nell’età del tardo impero romano. Le idee fondamentali dello gnosticismo non ci interessano in questo momento; quello che è importante è che lo gnosticismo appariva molto simile al cristianesimo in diversi punti. Per questo motivo è stato considerato come una sfida cruciale da molti scrittori della chiesa antica, specie da Ireneo. Inoltre, gli autori gnostici avevano la tendenza a interpretare i testi del Nuovo Testamento in un modo che sgomentava i leader cristiani, e sollevavano domande sul modo corretto di interpretare la Scrittura.
In questo contesto il richiamo alla tradizione divenne di importanza fondamentale. La parola “tradizione” letteralmente significa “quello che è stato tramandato, passato di mano in mano”, ma può anche significare “l’azione di passare di mano in mano”. Ireneo ha sostenuto con forza che la “regola di fede” (regula fidei) è stata preservata fedelmente dalla chiesa apostolica, e che essa ha trovato la sua espressione nei libri canonici della Scrittura. La chiesa ha fedelmente proclamato lo stesso evangelo dal tempo degli apostoli fino ai giorni nostri. Gli gnostici non avevano un tale collegamento con la chiesa primitiva. Essi avevano semplicemente inventato nuove idee e pretendevano impropriamente che queste fossero “cristiane”. Ireneo sottolineò così la continuità del ministero di insegnamento e di predicazione della chiesa e dei suoi responsabili (specialmente dei suoi vescovi). La tradizione venne ad assumere il significato di “un’interpretazione tradizionale della Scrittura” o “una presentazione tradizionale della fede cristiana”, che si riflette nei Credi della chiesa e nei suoi pronunciamenti dottrinali pubblici. Questa definizione dei Credi, come espressione pubblica dell’insegnamento della chiesa, è di importanza fondamentale, come verrà chiarito nella prossima sezione.
Tertulliano sostenne una tesi simile. La Scrittura, affermava, dev’essere compresa con chiarezza, a patto che sia letta nella sua interezza. Tuttavia, egli riconosceva come inevitabile una certa controversia sull’interpretazione di alcuni testi specifici. Gli eretici, osservava tristemente, possono far dire alla Scrittura più o meno quello che vogliono. Per questo motivo, la tradizione della chiesa era di importanza centrale, in quanto essa indicava il modo in cui la Scrittura era stata ricevuta e interpretata all’interno della chiesa stessa. La corretta interpretazione della Scrittura si doveva quindi ricercare là dove erano state conservate la vera fede e la disciplina cristiane. Una posizione simile fu presa anche da Atanasio, il quale sosteneva che gli errori cristologici di Ario non sarebbero mai sorti se questi fosse rimasto fedele all’interpretazione ecclesiastica della Scrittura.
La tradizione fu quindi considerata come un testamento lasciato dagli apostoli, da cui la chiesa era guidata e condotta verso una corretta interpretazione della Scrittura. Essa non veniva considerata come “fonte segreta di rivelazione” in aggiunta alla Scrittura, idea questa che Ireneo bollò come “gnostica”. Piuttosto, la tradizione fu vista come un mezzo che rendeva certi della fedeltà della chiesa all’insegnamento degli apostoli, anziché adottare interpretazioni stravaganti della Scrittura.
1.4.3 L’adozione dei Credi ecumenici
La parola “credo” deriva dal latino credo, con cui inizia il Credo apostolico, probabilmente il più familiare di tutti i Credi della chiesa: “Io credo in Dio... ”. La parola è giunta a significare una dichiarazione articolata della fede comune a tutti i cristiani, che sintetizza i punti centrali della fede. Per questa ragione il termine “Credo” non è mai riferito a dichiarazioni di fede enunciate da chiese o denominazioni particolari. Spesso si fa riferimento a queste ultime utilizzando i termini: “Simbolo” e “Confessione” (come la Confessione Augustana luterana e la Westminster Confession of Faith presbiteriana). La “Confessione” è qualcosa che riguarda le singole denominazioni cristiane, e comprende credenze specifiche e accentuazioni particolari tipiche di quella denominazione; un “Credo” riguarda l’intera chiesa cristiana, e include, né più, né meno, una dichiarazione di credenze che ogni cristiano dev’essere in grado di accettare e dalla quale si sente vincolato. Si è giunti a riconoscere un “Credo” come una dichiarazione concisa e formale, accettata e riconosciuta universalmente, comprendente i punti centrali della fede cristiana.
Nel periodo patristico furono formulati due Credi che arrivarono a essere considerati autorevoli e rispettati in tutta la chiesa. L’occasione del loro sviluppo sembra essere stato il profondo bisogno di avere un sommario corretto della fede cristiana, utilizzabile nelle occasioni pubbliche, di cui il battesimo, forse, era la più importante. La chiesa primitiva tendeva a battezzare i suoi convertiti nel giorno di Pasqua, utilizzando il periodo della Quaresima come un tempo di preparazione e di istruzione per questo momento di dichiarazione pubblica di fede e d’impegno. Un requisito essenziale per ogni convertito che chiedesse di essere battezzato era quello di confessare la propria fede in pubblico. Sembra che i Credi abbiano iniziato ad apparire come dichiarazioni uniformi di fede, che i nuovi convertiti potevano utilizzare in simili occasioni.
Il Credo apostolico è forse la forma più familiare di Credo conosciuto nel cristianesimo occidentale. Si divide in tre parti principali, che trattano di Dio, di Gesù Cristo e dello Spirito santo. Ci sono anche dichiarazioni riguardanti la chiesa, il giudizio e la risurrezione.
Il Credo niceno è la versione del Credo più lunga (noto più precisamente con il nome di Credo niceno-costantinopolitano), che include materiale aggiuntivo collegato alla persona di Cristo e all’opera dello Spirito santo. In risposta alle controversie riguardanti la divinità di Cristo, questo Credo include affermazioni decise della sua unità con Dio, come le espressioni: “Dio da Dio” e “della stessa sostanza del Padre”.
Lo sviluppo dei Credi fu un importante elemento nella ricerca di un consenso dottrinale all’interno della chiesa primitiva. Un’area della dottrina che vide un considerevole sviluppo connesso a molte controversie è quella collegata alla persona di Cristo, alla quale ora rivolgiamo la nostra attenzione.
1.4.4. Le due nature di Gesù Cristo
Le due dottrine, alle quali si può sostenere che il periodo patristico abbia dato un contributo decisivo, si riferiscono alla persona di Cristo (un settore della teologia che, come abbiamo visto, viene generalmente indicato con il nome di “cristologia”) e alla natura della divinità. Questi due sviluppi sono collegati organicamente fra di loro. Nel 325 la chiesa primitiva era giunta alla conclusione che Gesù fosse “della stessa sostanza” (homoousios) di Dio (l’espressione homoousios può anche essere tradotta: “della stessa essenza” o “consustanziale”). Le implicazioni di tale affermazione cristologica furono duplici: in primo luogo essa consolidava a livello intellettuale l’importanza spirituale di Gesù Cristo per i cristiani. In secondo luogo, tuttavia, essa lanciò una potente sfida alle concezioni troppo superficiali di Dio, poiché, se Gesù viene riconosciuto come “della stessa sostanza” di Dio, occorre allora ripensare l’intera dottrina di Dio alla luce di una simile affermazione teologica. Per questo motivo, lo sviluppo storico della dottrina della Trinità si colloca temporalmente dopo il raggiungimento del consenso cristologico nella chiesa. Soltanto quando la divinità di Cristo poté essere considerata come un punto di partenza concordato e stabilito, poté iniziare la riflessione teologica sulla natura di Dio.
Si può notare che i dibattiti cristologici della chiesa primitiva avvennero in massima parte nell’area del Mediterraneo orientale, ed essi furono condotti in lingua greca e spesso alla luce dei presupposti delle maggiori scuole filosofiche greche. In termini pratici questo significa che molti vocaboli centrali nei dibattiti cristologici della chiesa primitiva sono greci, spesso con una lunga storia di utilizzazione all’interno della tradizione filosofica greca.
Le caratteristiche particolari della cristologia patristica saranno esaminate in dettaglio in 9.1-9.4.2, a cui si rimanda il lettore. In questa prima fase, comunque, possiamo sintetizzare brevemente i nodi principali della discussione patristica sulla cristologia parlando di due scuole, due dibattiti e due concili, come segue:
1. Scuole – La scuola alessandrina tendeva a porre l’accento sulla divinità di Cristo, e interpretava questa divinità in termini di: “la parola divenuta carne”. Il testo della Scrittura di importanza centrale per questa scuola fu Giovanni 1,14: “la parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra noi”. Questa sottolineatura dell’idea di incarnazione portò a considerare la festa di Natale di particolare importanza. La scuola antiochena, a sua volta, dava un corrispondente rilievo all’umanità di Cristo, e diede particolare importanza al suo esempio morale (vedi 9.4.3-9.4.4).
2. Dibattiti – La controversia ariana del IV secolo è generalmente considerata come la più significativa nella storia della chiesa cristiana. Ario (250-336 ca) sosteneva che i titoli di Cristo presenti nella Scrittura, i quali sembrano indicare che egli fosse dello stesso status di Dio, erano semplicemente titoli di cortesia. Cristo doveva comunque essere considerato una creatura umana, sebbene preminente fra le altre creature. Questa impostazione provocò una reazione molto forte da parte di Atanasio, il quale sosteneva che la divinità di Cristo era di importanza centrale per la comprensione della salvezza (uno dei settori della teologia conosciuto con il nome di “soteriologia”). La cristologia di Ario, così diceva Atanasio, era soteriologicamente inadeguata. Il Cristo di Ario non avrebbe potuto redimere l’umanità caduta. Alla fine l’arianesimo (il movimento collegato ad Ario) fu dichiarato eretico. Ad esso fece seguito il dibattito sull’apollinarismo, che aveva come caposcuola Apollinare di Laodicea (310-390 ca). Vigoroso oppositore di Ario, Apollinare sosteneva che Cristo non poteva essere considerato come un essere totalmente umano. Nel caso di Cristo, lo spirito umano era sostituito dal logos divino. Come risultato, Cristo non possedeva una piena umanità. Tale posizione fu considerata fortemente deficitaria da teologi come Gregorio di Nazianzo, in quanto essa implicava che Cristo non potesse redimere pienamente la natura umana (vedi 9.4.4).
3. Concili – Il Concilio di Nicea (325) fu convocato da Costantino, il primo imperatore cristiano, con lo scopo di porre termine al disaccordo sulla cristologia all’interno del suo impero. Questo è stato il primo “concilio ecumenico” (cioè, un’assemblea di credenti provenienti da tutto il mondo cristiano, le cui decisioni sono considerate normative per tutte le chiese). Nicea (oggi la città di Iznik, nell’attuale Turchia) pose fine alla controversia ariana dichiarando che Gesù era “homoousios” (“uno nell’essere”, o della “stessa sostanza”) del Padre, rifiutando così la posizione ariana in favore di una vigorosa affermazione della divinità di Cristo. Il Concilio di Calcedonia (451), il quarto concilio ecumenico, confermò le decisioni di Nicea, e dette una risposta alle nuove controversie, sorte successivamente, sull’umanità di Cristo.
1.4.5 La dottrina della Trinità
Terminate le controversie cristologiche della chiesa primitiva, si esplorarono le conseguenze delle decisioni prese. In questo periodo della teologia cristiana, intenso e creativo, iniziò a emergere la dottrina della Trinità in forma riconoscibile come tale. Il dato centrale di questa dottrina è che ci sono tre persone all’interno della Deità – Padre, Figlio e Spirito santo – e che queste tre devono essere considerate similmente divine e di pari status. L’eguaglianza di Padre e Figlio fu stabilita mediante i dibattiti cristologici che avevano portato al Concilio di Nicea; la divinità dello Spirito fu stabilita nella successiva discussione sulla portata delle decisioni di Nicea, e in particolare negli scritti di Atanasio e di Basilio di Cesarea.
Il maggiore impulso nei dibattiti trinitari giunse sempre più a riguardare il modo in cui si dovesse comprendere la Trinità, anziché la sua fondamentale validità. Emersero gradualmente due diversi approcci: uno collegato con le chiese d’Oriente, l’altro con le chiese d’Occidente.
La posizione orientale – che continua a essere di importanza fondamentale all’interno delle attuali chiese ortodosse orientali – fu sviluppata in particolare da tre teologi, che risiedevano nell’odierna Turchia. Basilio di Cesarea (330-379 ca), Gregorio di Nazianzo (329-389) e Gregorio di Nissa (330-395 ca), noti come i Padri cappadoci, iniziarono le loro riflessioni sulla Trinità considerando i differenti modi in cui il Padre, il Figlio e lo Spirito santo sono sperimentati. La posizione occidentale, collegata in particolare con Agostino di Ippona, iniziò dall’unità di Dio per procedere nell’esplorazione delle implicazioni dell’amore di Dio per la nostra comprensione della natura della divinità. Queste posizioni saranno analizzate nei particolari al momento opportuno (vedi 8.5.1).
La dottrina della Trinità rappresenta un raro esempio di argomento teologico riguardante allo stesso tempo le chiese d’Oriente e le chiese d’Occidente. La nostra attenzione si rivolge ora a due dibattiti teologici, che sono collegati in particolare con la chiesa d’Occidente, ambedue in riferimento specifico ad Agostino di Ippona.
1.4.6 La dottrina della chiesa
Un’importante controversia all’interno della chiesa d’Occidente si sviluppò sul problema della santità della chiesa. I donatisti (così detti dal vescovo Donato, vedi 13.1.1) erano un gruppo di cristiani africani, residenti nell’attuale Algeria; essi avvertivano con disagio la crescente influenza della chiesa di Roma nell’Africa settentrionale. I donatisti sostenevano che la chiesa fosse un corpo di santi, in cui i peccatori non potevano aver posto. L’argomento divenne di importanza cruciale a motivo della persecuzione sviluppatasi sotto l’imperatore romano Diocleziano nel 303 e che si protrasse fino alla conversione di Costantino nel 313. Nel corso di tale persecuzione, in cui anche il possesso delle Scritture era illegale, un certo numero di cristiani consegnò la propria copia delle Scritture alle autorità; essi vennero immediatamente condannati dagli altri che avevano rifiutato di cedere alle pressioni. Al termine della persecuzione molti di questi traditores – letteralmente “quelli che avevano consegnato [le Scritture]” – si ripresentarono in chiesa. I donatisti si pronunciarono per la loro esclusione.
Nel secolo seguente Agostino dichiarò che la chiesa deve aspettarsi di rimanere un “corpo misto” di santi e di peccatori, rifiutandosi di estirpare quelli che erano caduti per la persecuzione o per altre ragioni. La validità del ministero della chiesa e della predicazione non dipende dalla santità dei suoi ministri di culto, ma si basa sulla persona di Gesù Cristo. L’indegnità personale di un ministro non compromette la validità dei sacramenti che egli amministra. Questa posizione, che divenne rapidamente normativa nella chiesa, doveva esercitare un grande influsso sulla riflessione cristiana circa la natura della chiesa e dei suoi ministri.
La controversia donatista, che sarà esaminata con maggiore attenzione più avanti (vedi 13.1.1), fu la prima ad avere il suo centro nella questione della dottrina della chiesa (nota come “ecclesiologia”), e problemi attinenti, come il modo in cui agiscono i sacramenti. Molti dei problemi sollevati dalla controversia riemergeranno al tempo della Riforma, quando gli aspetti ecclesiologici torneranno nuovamente in primo piano (vedi 13.2). La stessa cosa si può dire della dottrina della grazia, che ora prendiamo in considerazione.
1.4.7 La dottrina della grazia
La dottrina della grazia non è stata un argomento significativo nello sviluppo della teologia nella chiesa orientale di lingua greca. Tuttavia, un’intensa controversia si sviluppò su questo argomento nel secondo decennio del V secolo. Pelagio, un monaco asceta inglese residente a Roma, sosteneva con forza la necessità della responsabilità morale dell’essere umano. Allarmato per la moralità rilassata della chiesa di Roma, egli insisteva sul bisogno di un costante auto-miglioramento, alla luce della legge dell’Antico Testamento e dell’esempio di Cristo. Ai suoi oppositori – fra cui c’era in primo luogo Agostino – sembrò così che egli negasse il ruolo specifico della grazia divina per l’inizio e per lo sviluppo completo della vita cristiana. Il pelagianesimo giunse a essere considerato una religione dell’autonomia umana, la quale sosteneva che gli esseri umani hanno la capacità di prendere l’iniziativa per la propria salvezza.
Agostino reagì con violenza contro il pelagianesimo, insistendo sulla priorità della grazia di Dio in ogni momento della vita cristiana, dall’inizio alla fine. Gli esseri umani, secondo Agostino, non godono della necessaria libertà di fare i passi iniziali verso la salvezza. Ben lungi dal possedere il “libero arbitrio”, gli esseri umani sono posseduti da una volontà che è stata corrotta e macchiata dal peccato, e che li spinge verso il male e lontano da Dio. Soltanto la grazia di Dio può controbilanciare questa spinta a peccare. La difesa della dottrina della grazia da parte di Agostino fu così vigorosa che egli successivamente fu conosciuto come “il dottore della grazia” (doctor gratiae).
Un tema centrale del pensiero di Agostino è quello della peccaminosità della natura umana. L’immagine “della caduta” deriva da Genesi 3, ed esprime l’idea che la natura umana è “caduta” dal suo status originale primordiale. L’attuale condizione della natura umana non è dunque quella che Dio intendeva. Il mondo creato non corrisponde più direttamente alla “bontà” della sua integrità originale. è caduto. è stato spogliato o rovinato – ma non senza rimedio, come affermano le dottrine della salvezza e della giustificazione. L’immagine di una “caduta” veicola l’idea che ora la creazione sia a un livello più basso di quello in cui l’aveva posta Dio.
Secondo Agostino, ne segue che ogni essere umano è ora contaminato dal peccato fin dal momento della sua nascita. In contrasto con molte filosofie esistenzialiste del XX secolo (come quella di Martin Heidegger), che affermano che la “caducità” (Verfallenheit) sia un’opzione che noi scegliamo (anziché qualcosa che viene scelto per noi), Agostino presenta il peccato come insito nella natura umana. Si tratta di un aspetto integrale, non opzionale, del nostro essere. Questa intuizione, che riceve un’impostazione più rigorosa nella dottrina agostiniana del peccato originale, è di importanza centrale per la sua teologia del peccato e della salvezza. Poiché siamo tutti peccatori, tutti abbiamo bisogno di salvezza. Poiché siamo tutti scaduti dalla gloria di Dio, tutti abbiamo bisogno di essere redenti.
Per Agostino, l’umanità, lasciata ai suoi progetti e alle sue risorse, non può mai entrare in rapporto con Dio. Niente di quanto un uomo o una donna possa fare sarà mai sufficiente per rompere la stretta mortale del peccato. Per usare un’immagine che Agostino ebbe la fortuna di non incontrare nella sua vita, è come un drogato che cerca di liberarsi dalla schiavitù dell’eroina o della cocaina. Secondo Agostino, Dio stesso interviene in questo dilemma umano. Non aveva alcun bisogno di farlo ma, a motivo del suo amore per l’umanità peccatrice, entrò nella situazione umana nella persona di Gesù Cristo al fine di redimerla.
Agostino sosteneva che la “grazia” fosse il dono immeritato e assolutamente libero di Dio, con il quale Egli spezza volontariamente la presa del peccato sull’umanità. La redenzione è possibile soltanto come un dono divino. Si tratta di qualcosa che non possiamo raggiungere da soli, ma è qualcosa che è stato fatto per noi. Agostino quindi sottolineava che le risorse di salvezza sono situate al di fuori dell’umanità, in Dio stesso. è Dio che dà inizio al processo di salvezza, non l’uomo o la donna.
Per Pelagio, invece, la situazione si presentava molto diversa. Pelagio riteneva che le risorse per la salvezza fossero insite nell’umanità. I singoli esseri umani hanno la possibilità di salvare se stessi; non sono intrappolati dal peccato, ma sono in grado di fare tutto quello che è necessario per essere salvati. La salvezza è qualcosa che si può raggiungere tramite le buone opere, che pongono Dio in una situazione di obbligo nei confronti dell’umanità. Pelagio riduce l’idea di grazia, comprendendola come un’esigenza posta all’umanità da parte di Dio al fine di poter raggiungere la salvezza – come il Decalogo o l’esempio morale di Cristo. La posizione del pelagianesimo può essere sintetizzata con la formula: “salvezza per meriti”, mentre quella di Agostino con: “salvezza per grazia”.
è evidente come queste due linee teologiche comportino comprensioni molto diverse della natura umana. Per Agostino, la natura umana è debole, decaduta e impotente; per Pelagio, la natura umana è autonoma e auto-sufficiente. Per Agostino, l’umanità deve dipendere da Dio per la salvezza; per Pelagio, Dio indica semplicemente quello che si deve fare se si vuole ottenere la salvezza, e poi lascia uomini e donne senza alcun altro aiuto nel rispondere a queste prescrizioni. Per Agostino, la salvezza è un dono immeritato; per Pelagio, la salvezza è una ricompensa giustamente guadagnata.
Un aspetto della comprensione agostiniana della grazia ha bisogno di un ulteriore commento. Dal momento che gli esseri umani sono incapaci di salvare se stessi, e dal momento che Dio rivolge il suo dono di grazia ad alcuni (ma non a tutti), ne segue che Dio ha “preselezionato” quelli che saranno salvati. Sviluppando gli accenni di questa idea che si ritrovano nel Nuovo Testamento, Agostino elaborò una dottrina della predestinazione. La parola “predestinazione” si riferisce alla decisione originaria ed eterna di Dio di salvare alcuni individui e non altri. Fu questo aspetto del pensiero di Agostino che molti suoi contemporanei, per non parlare dei suoi successori, trovarono inaccettabile. Non c’è neanche bisogno di dire che non esiste una posizione equivalente nel pensiero di Pelagio.
Il Concilio di Cartagine (418) approvò le posizioni di Agostino sulla grazia e sul peccato, e condannò il pelagianesimo con parole intransigenti. Tuttavia, il pelagianesimo, in varie forme, continuò a essere un punto di conflitto nei secoli successivi. Quando il periodo patristico arrivò alla sua conclusione, e i secoli bui calarono sull’Europa occidentale, molti argomenti rimasero senza soluzione. Sarebbero stati ripresi nuovamente nel corso del Medioevo, e in particolare al tempo della Riforma (vedi 12.4.1-12.4.4).
Nomi, vocaboli ed espressioni chiave
Giunto al termine di questo capitolo, il lettore avrà incontrato i termini seguenti, che ritroverà ancora nel corso dell’opera. Il lettore si assicuri di aver acquisito una certa familiarità con essi.
*apollinarismo
*arianesimo
agostinianesimo
canone
canonico
*cristologico
*cristologia
credo
*donatisti
*donatismo
*ecclesiologico
*ecclesiologia
concilio ecumenico
extra-canonico
*incarnazione
Padri cappadoci
patristico
patrologia
*pelagiano
*pelagianesimo
*soteriologia
*Trinità
*trinitario
I termini contrassegnati da un asterisco (*) saranno analizzati più dettagliatamente nel corso di quest’opera.
Domande sul capitolo 1
1. Localizzate le seguenti città o regioni nella carta geografica n. 1: Alessandria, Antiochia, Cappadocia, Costantinopoli, Ippona, Gerusalemme, Roma.
2. Cercate di individuare, nella stessa cartina, dove passa la linea divisoria fra l’area di lingua latina e quella di lingua greca. Il latino era la lingua più importante a occidente di tale linea divisoria, e il greco a oriente della stessa. Identificate la lingua di uso corrente in ciascuna delle città indicate nella domanda 1.
3. Quale lingua associereste ai seguenti teologi: Atanasio, Agostino d’Ippona, Origene, Tertulliano?
4. I seguenti movimenti ebbero una grande importanza nel corso del periodo patristico: arianesimo, donatismo, gnosticismo, pelagianesimo. Collegate le controversie relative a ciascuno di questi movimenti con uno dei seguenti teologi: Atanasio, Agostino d’Ippona, Ireneo di Lione (si ricordi che uno di questi teologi è associato a più di una controversia).
5. Perché c’è stato così poco interesse alla dottrina della chiesa nel corso di questo periodo?