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Due di me

Due di me

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David Wilkerson, autore del bestseller LA CROCE E IL PUGNALE e fondatore dei centri TEEN CHALLENGE per il recupero dei giovani drogati, degli emarginati e di giovani criminali, ha scritto molti libri sui più vari problemi della vita moderna. David Wilkerson dice che il suo libro DUE DI ME è uno dei più importanti che mai riuscirai a leggere, che potrebbe far mutare direzione alla tua vita entro le prossime ore, ossia il tempo per leggerlo. Il libro è scritto per un gruppo particolare di persone che stanno cercando vera pace mentale e liberazione dal male. Anche quelli che conducono una vita di divertimenti, dopo che i rumori della musica si sono dileguati, vengono a trovarsi a faccia a faccia con il loro io. E oggi, per milioni di uomini, le domeniche portano una grande depressione. Dobbiamo, in qualche modo, saper far fronte alla verità nei nostri confronti. Alle volte, noi tutti siamo degli attori miserabili, che indossano false maschere e sostengono ruoli fasulli. Però, da qualche parte, nel luogo più segreto del nostro essere, si trova un persistente desiderio di conoscere e di piacere a Dio. Questo libro, DUE DI ME, non ha nulla da dire alle persone orgogliose e arroganti, che si rifiutano di affrontare la verità sulle proprie debolezze. E' scritto per coloro che cercano disperatamente la vittoria sopra il proprio io, su sé stessi, e che onestamente ammettono di aver bisogno di un decisivo aiuto.
ISBN: 9788880770428
Produttore:
Editrice Uomini Nuovi
Codice prodotto: 9788880770428
Peso: 0.100kg
Rilegatura: Brossura
Lingua: Italiano

Capitolo gratuito

Capitolo 1

DUE DI ME!

Sono una strana creatura, con due menti che si contrappongono in un unico corpo. In me ci sono due diverse forze vitali che cercano di controllare le mie azioni. Ci sono cose sul mio conto che mi spaventano, cose come un gran bisogno interiore che non so spiegare, il costante bisogno di amore e di appagamento e anche quei desideri subdoli che emergono ogni tanto e che mi fanno desiderare ardentemente esperienze contrarie alla mia natura migliore.
Non so spiegare perché io sia una persona così doppia quando si tratta di ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Il male che detesto è sempre presente in me. Ci sono anche i desideri buoni e retti; e tutto questo mantiene la mia mente in continua agitazione. Non è una battaglia di ogni giorno e di tutto quanto il giorno; ma il male, alle volte, cerca di sopraffarmi. Quando penso di avere ogni cosa sotto controllo, tutto va a scatafascio e ancora una volta mi trovo a fare cose che non voglio fare affatto.
Questa guerra tra il bene e il male infuria in tutta l’umanità. Un ministro, smascherato per adulterio, confessò: “La mia cattiva natura esercitava uno strano fascino su me. Mi faceva inseguire ingannevoli sogni che sapevo sarebbero svaniti. Essa mi tenne incatenato a un desiderio carnale che alla fine mi distrusse. Mi costrinse a fare compromessi che mi indebolirono. Le sue promesse di vero amore si dileguarono come un miraggio. E pur sapendo che avrei continuato a farmi del male, seguii gli ordini della mia mente malvagia come uno schiavo ubbidiente”.
Una persona, che aveva fatto un’esperienza con Gesù e che in passato suonava per una corale cristiana, cercò di spiegare perché era tornata alla droga e all’alcol.
“Tutto quello che so è che nel mio corpo era in atto uno spaventevole combattimento per il mio controllo. C’era sempre una presenza malvagia nella mia mente che cercava di vanificare ogni cosa buona e decente che cercavo di fare. Questa parte cattiva di me continuava a trascinarmi in basso, facendomi fare cose che in realtà non volevo fare. Era una presenza così soverchiante che io ubbidivo a ogni suo comando, per finire poi con un senso di colpa, di solitudine e di vuoto.
“Quando invece fuggivo da tutti i rumori della folla e mi ritraevo dai miei piaceri, un povero e solitario me stesso protestava dentro me vigorosamente in cerca di soddisfazione, come il pietoso grido di un bambino affamato. La voce reclamava: ‘Per favore, non lasciarmi solo, dammi da mangiare, aiutami, dammi amore’.
“Alle volte, una parte di me si sentiva in collera con Dio perché Egli non strappava via il peccato dal mio cuore. Mi stancavo del combattimento dentro me. Il nemico della mia anima sembrava così forte e io mi sentivo così debole. La natura buona in me desiderava che Dio eliminasse tutta la malvagità ed estirpasse i miei soverchianti e peccaminosi desideri, per rendermi libero dal mio peccato.
“So che c’è una parte di me che vuole ubbidire a Dio. Questo non ha niente da spartire con chiese, predicatori o moralizzatori che inculcano il bene. E’ molto più di un semplice desiderio di perdono. E’ assai più che ottenere semplicemente la salvezza della mia anima. Non ha niente da fare con la paura dell’inferno o della dannazione. E’ assai più di un bisogno di pace e di perfezionamento. E’ un bisogno, che viene dal profondo della mia anima, di conoscere Dio in un modo del tutto personale e di sentire il Suo amore. Spero di tornare un giorno a Dio e di essere libero”.
Nel mio ufficio, centinaia di alcolizzati e tossicomani danno libero sfogo davanti a me alle loro storie pietose. Quasi senza eccezione, odo sempre la stessa confessione: “Lo detesto! Mi ha trasformato in un animale. Sulle prime era divertente, ma ora mi sta distruggendo. E’ come se fossi due persone. Sono schiavo di un’abitudine mentale; ora non posso fermarmi. Ciò nonostante, in fondo al mio cuore, voglio essere libero. Mostrami come potrò uscirne vittorioso”.
Uno dei miei amici drogati adolescenti, mentre giaceva disperato sul suo letto, estrasse dalle sue vene una siringa di sangue e spruzzò sul soffitto le parole: Dio, aiutami!
Di tutti i combattimenti tra le due nature, il dilemma omosessuale è uno dei più complessi, anche se la maggior parte degli omosessuali non guarda alla propria preferenza sessuale come a un problema che ne controlli la vita. Per loro, l’omosessualità è una cosa normale e si offendono per qualsiasi allusione all’agonia conseguente al loro stile di vita. La maggior parte di loro afferma che le cose non stanno così.
Da Castro Street, a San Francisco, al Greenwich Village, a New York, ho udito molti omosessuali affermare di trovarsi molto bene. Essi si vantano di non avere più alcun senso di colpa e sono orgogliosi di essere omosessuali. Affermano che solo gli omosessuali confusi e paranoici vorrebbero uscirne fuori.
Un attivista omosessuale di San Francisco mi avvertì: “Non c’è un solo omosessuale in questa città che voglia cambiare. Voi predicatori state semplicemente perdendo il vostro tempo. Noi non siamo malati; non abbiamo bisogno di una cosiddetta cura. Noi siamo orgogliosi e più a posto delle persone per bene; abbiamo ogni diritto di offenderci per quei fanatici religiosi che vengono nei nostri ambienti per cercare di cambiarci. Cambiate piuttosto quelli tra voi che fornicano e commettono adulterio. Lasciateci stare”.
Ciò nonostante, la comunità degli omosessuali non sa spiegare come mai un crescente numero di omosessuali riconosca ora che la propria omosessualità conduce a lotte che ne distruggono la mente. Il forte alcolismo, l’alta percentuale di suicidi e la continua psicanalisi sono indizi che lasciano intendere che il combattimento fra le due nature sta ancora infuriando nei cuori e nelle menti degli omosessuali.
Ho un amico omosessuale che mi ha raccontato il suo combattimento interiore con la libidine e la sua lotta per esserne liberato. Egli diceva: “Quando cominciai con l’omosessualità, una parte di me ne godeva e un’altra parte l’odiava. E io odiavo me stesso. Una strana sensazione prese a impadronirsi di me e incominciai ad avvertire come se ci fossero due esseri in me: due parti opposte di me che mi rendevano frustrato e depresso. Si sviluppò in me un insaziabile appetito per il sesso e, sulle prime, quel desiderio di sesso allontanò il senso di colpa. Divenni ossessionato dal mio stesso corpo. La cosa incresciosa era che il desiderio carnale consumava tutti i miei pensieri e le mie energie e mi sentivo incapace di fare alcuna cosa in merito. Sentivo che la mia mente mi trascinava violentemente in due opposte direzioni. Una parte di me prendeva piacere nel sesso sfrenato, perché mi dava un temporaneo sollievo. L’altra parte era nauseata dagli orribili atti di sesso, che io odiavo. Ero preso in trappola e, nonostante tutto il mio successo, mi sentivo solo. Quando l’impulso sessuale mi sopraffaceva, cercavo sollievo nell’alcol. In qualche modo mi rendevo conto che quanto io facevo scombussolava il mio intero organismo!
“Incominciai a chiedermi quale Dio mi aveva creato con il desiderio per questo tipo di sesso e per farmi prigioniero del mio stesso corpo. Abbandonai l’idea di qualsiasi possibilità di evasione. Avrei semplicemente cercato di trarre il miglior vantaggio dalle cose così com’erano. Avrei trovato un modo per vivere una doppia esistenza e accettare il tipo di vita che conducevo. Avrei cessato di lottare per cambiarla.
“Cominciai a maledire Dio che aveva permesso che io nascessi tossicomane. Sentivo che Dio mi aveva abbandonato. Ora, un’altra persona mi controllava. Mi parlava da molto lontano, da un profondo e tenebroso tunnel. L’altro io, quello buono e spirituale, divenne semplicemente un piagnucolio. L’omosessualità dominava completamente la mia personalità. Prese il controllo della mia vita e io non ero in grado di resistere”.
Stavo ascoltando un omosessuale da marciapiede nella sezione Tenderloin di San Francisco mentre mi descriveva il terrore che regnava nella sua anima. “Amico”, diceva, “il commercio dei corpi in un bar di omosessuali è la cosa più rozza della terra. E’ degradante e ripugnante, perché ora la maggior parte dei bar di omosessuali sono bordelli per informazioni, dove si distribuiscono pettegolezzi e volantini e si raccolgono soldi per cause politiche.
“E’ spaventevole l’essere costretti a cercare la soddisfazione dei propri bisogni sessuali per la strada. Raccolgo uno in strada e spero che ne derivi qualcosa di buono. Continuo a sperare che ne nasca l’amore. Ogni venerdì e sabato sera si accende la speranza che sarà forse la volta buona e che apparirà il mio grande amore, che mi libererà dalla mia prigione di disperazione.
“Ma non accade mai. Porto in me un profondo senso di inganno, la sensazione di essere ingannato. Tutte le promesse che faccio, o ricevo, di impegni per l’intera vita vengono infrante e quel che supponevo essere il grande amore della mia vita avvizzisce e muore. Così ritorno presto alla caccia, cercando di grattare un prurito che non riesco a localizzare. Mi ritrovo daccapo ad avere schifo di me stesso e a sentirmi abbandonato”.
Un altro omosessuale, in abbigliamento da travestito e che si faceva chiamare Renée, mi disse come egli in realtà concedesse a una parte di sé stesso di emergere e di integrarsi con l’altra parte.
“Reverendo”, mi disse, “posso andare in giro in questo modo perché mi trovo al sicuro in una zona di omosessuali. Il vostro terrore è causato dallo sforzo di controllare giustamente il vostro impulso sessuale; il mio è causato dallo sforzo di aver successo. Per la maggior parte, gli omosessuali della mia cerchia sono insicuri come me, perché hanno paura di non farcela. Il baratto codificato del sesso ti mantiene alla ricerca. Hai successo e presto riprovi ancora, sperando in qualcosa di meglio. La tua fame non è mai appagata; non ottieni mai abbastanza. Ma, ovviamente, questo lascia cicatrici. Persino i miei amici omosessuali tendono a guardarmi come ‘un maschio effeminato in abiti di omosessuale travestito’. Le loro risate sono più crudeli di quanto lo siano le persone per bene.
“Un giorno decisi di comportarmi come quel paria che sentivo di essere. Ero stanco di sogni infranti, di ferite senza fine e di una costante solitudine. Feci la mia scelta: mi sarei liberato. Sapevo di avere una doppia identità, che in realtà io ero due persone e che alla fine soltanto una delle due avrebbe vinto. Abbandonai tutti i consulenti e tutte le pillole che ingoiavo e decisi di farmi degli amici col mio corpo e di metterlo in mostra come volevo. Renée è il nome che ho dato al mio io dominante. Durante il giorno sono professore in una scuola; la sera, permetto a Renée di emergere e vado a caccia di trofei di maschi.
“Nei momenti di onestà con me stesso, ammetto che tutto ciò è superficiale. Vedo i miei amici battuti e abbandonati, offesi e feriti da questa competizione distruttiva. Alcuni dei miei migliori amici si sono suicidati. Quando mi trovo solo, mi sento terribilmente triste, anche se non ho alcuna ragione di sentirmi così. Le domeniche mi buttano giù. Che giorni di ombra e di rammarico! Certamente sono omosessuale ma, dicano quello che vogliono, non ho di che rallegrarmene. Renée, ora, mi infastidisce. I miei amici non si preoccupano affatto di me. Le sigarette si fanno stantie. Essere popolari e al vertice non ha per me alcun significato. Le bevande alcoliche mi deprimono soltanto. Divento subito irrequieto. Per quello che sto facendo non c’è sicuramente alcuna via d’uscita. Sono un omosessuale di quarantadue anni in abbigliamento da travestito, che va in giro impettito, cercando di nascondere la propria tragedia”.
Conosco un omosessuale convinto che un cambiamento di sesso avrebbe posto fine al suo tumulto interiore. Egli scrive: “Non potevo sopportare di comportarmi come un uomo. Cercai di farlo; mi sposai persino, ma presto divorziai. Decisi che non c’era alcun rimedio per me, per cui entrai nel mondo degli omosessuali e mi arresi ai miei desideri.
“I miei desideri presero il sopravvento sulla mia ragione. Era come se io fossi due persone contemporaneamente. Volevo essere una donna; pensavo come una donna; ma perché mai non potevo essere una donna? Trovai un dottore e mi sottoposi a un’operazione che cambiò il mio sesso. Pensavo di essere andato troppo lontano perché Dio mi potesse perdonare, per cui mi esibii in un night-club come danzatrice esotica. Ma il cambiamento di sesso non portò pace al mio cuore. Mi accontentai della libidine, del brivido momentaneo, della serata trascorsa fuori, dei vestiti costosi, dei buoni cibi, dei gioielli, del bere e delle compagnie attraenti.
“Ma quando ero solo, dovevo affrontare me stesso. Guardando nello specchio, dall’altra parte una donna mi scrutava attentamente; di dentro, però, rimanevo la stessa persona che ero sempre stato. Mi sentivo ancora solo e respinto e la mia lotta continuava.

“Mi resi conto che non era facile uscirne fuori. Rimaneva sempre il senso di colpa e la paura di essere scoperto. Ma, a poco a poco, ci si indurisce fino a che la situazione smette di dar fastidio più di tanto. Certo, ci sono ancora giorni di turbamento, ma si cercano scuse, oppure ci si ubriaca o ci si droga per dimenticare. Sulle prime, il tuo corpo si ribella contro atti innaturali, ma poi ci si sforza di conformarsi, fino a che il dolore scompare. Poi finisci col dire a te stesso che tutto ciò è naturale e bello per te. Giorni, settimane, anni, passano e le scuse ti tratterranno dall’affrontare la verità”.


LA LOTTA PER ESSERE SANTI

Ho letto le pietose confessioni di monaci che si sono chiusi in monasteri per anni, cercando di vincere le loro cattive passioni. Ciò nonostante, la loro cattiva immaginazione li ha spinti sull’orlo della pazzia. Con l’isolamento dalla società, essi non hanno ottenuto il controllo delle concupiscenze. Proprio quando pensavano di aver ottenuto la liberazione dalla concupiscenza e che i loro desideri carnali fossero sotto controllo, essi cadevano preda di passioni incontrollate e di cattivi pensieri sfrenati.
Un certo monaco visse per cinquant’anni in una grotta sotterranea, cercando di portare il suo corpo alla sottomissione allo Spirito. Altri seppellirono sé stessi fino al collo in sabbie roventi, sperando così di bruciare fino in fondo le loro iniquità.
Ho letto di monaci che dormivano su fasci di spine e su mucchi di cocci di vetro. Altri si legavano un piede, saltellando su un piede solo fino a che perdevano l’uso dell’altro. Un monaco costrinse il suo corpo nel cerchio di una ruota di carro e rimase in quella posizione fetale per dieci anni, costretto a farsi nutrire da altri.
Simeone Stilita stette per trent’anni in cima a una colonna e, quando divenne troppo debole per rimanervi, si fece erigere un palo e vi si fece incatenare. Tutti questi metodi di autosupplizio furono praticati da monaci con lo scopo di eliminare la presenza del male in sé stessi. Essi cercavano di annullare quella parte di sé che li trascinava verso il peccato.
Nel Medio Evo, lunghe processioni di flagellanti si spostavano da una nazione all’altra, gemendo, piangendo, cantando mesti canti di pentimento e flagellando le proprie schiene nude mentre marciavano. Migliaia di credenti si univano a quelle processioni nello sforzo di sconfiggere il male. Santa Eteldra pensava che il suo corpo fosse così cattivo e vile, che si rifiutò di lavarlo. Se ne andava in giro senza lavarsi e coperta di sporcizia, venerata come una santa, perché si presumeva che avesse sconfitto la sua carne.
Leggendo la Bibbia, scopro che non sono l’unica persona impegnata in un combattimento tra il bene e il male. Davide era un uomo amato da Dio. Ciò nonostante commise adulterio con Bathsheba e poi fece uccidere suo marito per impedire che scoprisse che ella era incinta. Egli fu spinto dalla disperazione e ammise: “Le mie iniquità sorpassano il mio capo, sono come un grave carico, troppo pesante per me. Le mie piaghe son fetide e purulenti per la mia follia... Poiché i miei fianchi sono pieni d’infiammazione, e non v’è nulla d’intatto nella mia carne” (Salmo 38:4-7).
L’apostolo Paolo scrisse: “Io non approvo quel che faccio: infatti non faccio quel che voglio, ma faccio quel che odio... Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene, poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. Infatti, il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio... Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l’uomo interno, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente, e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?... Gesù Cristo...” (Romani 7:15-25).
C’erano dunque “due Paolo?” Sì! In lui c’era un’angosciosa lotta tra la natura spirituale e quella non spirituale, che si fronteggiavano in un combattimento continuo. Questa angosciosa e infelice condizione descritta da Paolo è l’esperienza più spaventosa che una persona possa sperimentare. E’ una tremenda paura di perdere il proprio controllo, una tremenda paura di far adirare Dio cedendo al peccato segreto una volta di troppo o, ancora peggio, cadendo sotto il suo controllo.
La vittima che cede alla legge del peccato comincia a pensare: “Che cosa devo fare per ottenere la vittoria su questo male che è in me? Ho versato un fiume di lacrime, ho messo alla prova la forza di volontà, ho condannato me stesso, ho fatto migliaia di promesse di cambiare, ho letto tutto ciò su cui ho potuto metter le mani che insegnasse il modo di diventare santo. Ma sono giunto all’esaurimento. Mi abbandonerà Dio, fino a quando io abbia imparato a diventare libero? Come posso resistere contro una forza talmente potente che mi trascina in giù? E a che pro?”
Coloro che non hanno sperimentato questa tremenda lotta interiore, o ne sono usciti mediante la fede o l’hanno evitata o perché erano persone disoneste. Questi ultimi non si affliggono per i loro peccati, perché scelgono di passarci sopra. Taluni sono stati induriti dai loro peccati e non avvertono più alcun rimorso di coscienza. Altri hanno creato per sé stessi un complesso di elaborate scuse e giustificazioni per ogni cosa che fanno, autoassolvendosi da tutte le loro debolezze e da tutti i loro falli. E’ una prassi comune tra coloro che scoprono di avere un problema che domina la loro vita, quella di ricorrere allo studio della storia, della psicologia, della sociologia e della religione, per trovare una giustificazione al proprio comportamento.
Ma colui che cerca onestamente la verità non può tirarsi facilmente indietro e vivere tranquillo con sé stesso. Egli non può fare a meno di vedere il suo disgustoso lato carnale e ammettere: “Sono venduto al peccato come uno schiavo. Senza Dio, non c’è nulla di buono in me. Sono debole, fragile, incline al peccato e bisognoso dell’aiuto quotidiano del Signore”. Davvero, quanto più santo un uomo diviene, tanto più consapevole egli diventa della sua peccaminosità.
Più di cent’anni fa, il grande predicatore scozzese Alexander Whyte fece un appello all’onestà dell’uomo naturale nell’ammettere l’esistenza della lotta fra le due nature in noi. Egli scrisse:
“Gli scrittori hanno avuto paura di dichiarare apertamente tutta la verità riguardo alle loro tribolazioni. L’individuo sincero deve ammettere che non c’è stato alcun altro con un cuore così debole e malvagio come il proprio, nessuna vita così cattiva come la sua, nessun peccatore tormentato da così numerose tentazioni e gravi tribolazioni come lui. Deve riconoscere la sua esperienza di peccaminosità interiore, che il suo peccato è malvagio, che il peccato ha talora ancora potere su lui, che un male indescrivibile si annida nel suo cuore e che tutto avviene dentro lui. Questa è l’agonia quotidiana di ogni uomo fra noi i cui occhi siano aperti sul suo cuore”.
Non c’è altro di cui uno possa esser sicuro, al di fuori del peccato e dell’estrema indigenza del proprio cuore malvagio: l’egoismo, l’invidia, la malizia, l’orgoglio, l’odio, la vendetta e la concupiscenza.

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