La costola di Adamo e la mela di Eva, l'azzurro mare dell'Esodo che viene chiamato Rosso, Mosè raffigurato con le corna, un ramoscello che diventa una rosa, un cammello che passa per la cruna di un ago.
La Bibbia, considerata da Paul Claudel un «immenso vocabolario», da William Blake un «grande codice dell'arte» e da Marc Chagall un imponente «atlante iconografico», costituisce un inesauribile deposito e una riserva tematica di figure e metafore che talvolta sono il risultato di sviste, malintesi e veri e propri errori di traduzione.
L'Antico Testamento ne ha conosciuti nei passaggi dall'originale ebraico al greco, e poi nel latino di Gerolamo e nella lingua della cancelleria sassone di Martin Lutero. Gli esempi sono innumerevoli, ma alcuni errori si sono depositati con maggiore forza e con effetti di rilievo. Quelli «derivanti da mancanza di conoscenza e senza alcuna conseguenza negativa» dovrebbero essere guardati «con un sorriso di compiacenza», osserva Lapide. Ben diversamente vanno considerati gli errori di traduzione voluti, tendenziosi, che comportano a volte cambiamenti insidiosi o calunniosi e persino veri e propri stravolgimenti del senso.