«Subito il padre del bambino esclamò: "Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità"».
Spesso ci troviamo nella stessa situazione di questo padre di cui si parla in Marco 9:24: ricorriamo a Gesù con un bisogno impellente. Lo supplichiamo che intervenga in modo potente. Egli, però, pesa la nostra fede e la trova mancante. Dato che non abbiamo esercitato una fede sufficientemente vigorosa nei suoi confronti prima di andare a Lui, la risposta di Gesù serve a stimolarci ad assumerci la responsabilità di rafforzare la nostra fede.
A tal punto anche noi rispondiamo: «Io credo, vieni in aiuto alla mia incredulità». Vedendo che siamo ormai allo stremo delle forze, il nostro Signore dalla grazia sovrana può sovvenire alla nostra disperazione con un Suo intervento potente, come in questo caso. Davanti alla nostra debole fede, Gesù non solo esige da noi la responsabilità di rafforzarla ma può anche elargire la grazia divina di aiutarci a farlo.
Dobbiamo chiederci, però: dobbiamo aspettarci una risposta positiva ogni volta che Gli rivolgiamo questo appello? Questo appello, è la regola o l'eccezione?
Spesso il presupposto comune è che questo sia la norma.
Credo invece che, in realtà, il metro di misura si trovi in Giacomo 1:6-8. In base a questi versetti e ad altri episodi riportati nei Vangeli, ritengo che la risposta di Gesù sia spesso negativa, che egli sia già venuto in aiuto alla nostra incredulità e che ci abbia già fornito tutto ciò che ci necessita per poter rafforzare la nostra fede in modo da poter chiedere senza dubitare. Prima di supplicare Dio per grazia, dobbiamo servirci di queste risorse spirituali che ci sono state già provvedute per rafforzare la nostra fede e poi possiamo presentare la nostra richiesta.
(dall'Introduzione)