Nuova Traduzione Vivente Italiana


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La Nuova Traduzione Vivente è una traduzione della Bibbia moderna e affidabile, che abbina la più aggiornata ricerca biblica a uno stile di scrittura dinamico e chiaro.
Questa versione della Bibbia trasmette la Parola di Dio in modo espressivo, chiaro e preciso, comunica con accuratezza il significato e il contenuto dei testi biblici originali con un linguaggio attuale e di facile comprensione.
 
Oltre 90 eminenti studiosi hanno lavorato per tradurre gli antichi testi ebraici, aramaici e greci in inglese (New Living Translation), italiano, spagnolo (Nueva Traducción Viviente), portoghese (Nova Versão Transformadora) e tedesco (Neues Leben Bible).
 
I traduttori della Nuova Traduzione Vivente hanno avuto come obiettivo ultimo quello di restituire il messaggio dei testi originali della Scrittura in un linguaggio chiaro e attuale. Essi hanno preso in considerazione sia le esigenze di una traduzione a equivalenza formale sia quelle di una traduzione a equivalenza dinamica, bilanciando le due metodologie.
 
Da un lato, hanno tradotto nel modo più semplice e letterale possibile là dove un approccio letterale portava a un testo chiaro e accurato, passando alla traduzione dinamica quando questo metodo risultava in un testo più comprensibile al lettore medio.
Dall’altro, i traduttori hanno reso il messaggio in modo più dinamico là dove una resa letterale era difficile da comprendere, risultava fuorviante o comportava il ricorso a una terminologia desueta o distante dal linguaggio dell’uomo contemporaneo.
Hanno quindi reso più chiari termini complessi e metafore per facilitare la comprensione del lettore.
 
I traduttori si sono concentrati sul significato delle parole e delle locuzioni nel contesto originario per poi restituire il messaggio in un linguaggio chiaro e naturale con l'obiettivo di fornire un testo fedele ai manoscritti originali e nel contempo scorrevole e di facile comprensione.
Il risultato è una traduzione accurata dal punto di vista esegetico ed efficace da quello idiomatico.
 
Le traduzioni moderne della Bibbia tendono a essere regolate da due metodologie traduttologiche generali.
La prima prevede un approccio alla traduzione detto “equivalenza formale”, “letterale” o “parola per parola”. Secondo questa teoria, il traduttore deve cercare di rendere ciascuna parola della lingua originale in italiano e preservare il più possibile la sintassi originale e la struttura della frase.
La seconda teoria prevede un approccio alla traduzione detto “equivalenza dinamica”, “equivalenza funzionale” o “pensiero per pensiero”. L’obiettivo di questa teoria traduttologica è di produrre in una lingua moderna l’equivalente naturale più vicino al messaggio espresso dal testo in lingua originale, sia in termini di significato sia di stile.
 
Entrambe queste teorie traduttologiche hanno i loro punti forza. Una traduzione a equivalenza formale preserva alcuni aspetti del testo originale, fra cui idiomi antichi, coerenza lessicale e sintassi della lingua originale, preziosi per gli studiosi e per uno studio specialistico. Consente inoltre al lettore di rintracciare elementi formali del testo in lingua originale nella traduzione.
Una traduzione a equivalenze dinamiche, invece, si concentra sulla restituzione del messaggio del testo in lingua originale. Si assicura che il significato del testo sia subito evidente al lettore contemporaneo. Così facendo, il messaggio giunge a destinazione con immediatezza e facilità di comprensione, senza affaticare il lettore. Facilita infine uno studio serio del messaggio del testo e facilita sia la lettura meditativa sia quella pubblica.
 
Un’applicazione pura dell’una o dell’altra filosofia porrebbe le rispettive traduzioni ai due estremi dello spettro traduttologico. In realtà, tutte le traduzioni contengono una mescolanza delle due filosofie, in quanto una traduzione a equivalenza formale pura risulterebbe incomprensibile e una traduzione a equivalenza dinamica pura correrebbe il rischio di allontanarsi dall’originale.
 
Al fine di preservare il testo da visioni teologiche particolari e parziali, il Comitato di Traduzione della Bibbia ha reclutato équipe di studiosi rappresentativi di un ampio spettro di denominazioni, prospettive teologiche e contesti all’interno della comunità evangelica mondiale.
Ciascun libro della Bibbia è stato assegnato a tre diversi studiosi comprovati esperti di quel testo particolare. Ciascuno di loro ha prodotto una revisione completa di un testo matrice e lo ha sottoposto al rispettivo supervisore di traduzione. Il supervisore ha quindi passato in rassegna le indicazioni, ha trovato una sintesi e ha infine proposto una prima bozza di revisione del testo matrice. Tale bozza è servita come base per ulteriori fasi di revisione esegetica e stilistica da parte del comitato che ha poi congiuntamente revisionato e approvato ogni versetto della traduzione finale.
Grazie a questo processo, la Nuova Traduzione Vivente è stata rifinita in modo tale da preservare gli elementi formali essenziali dei testi biblici originali e creare nel contempo un testo comprensibile e chiaro.
 
La Nuova Traduzione Vivente è stata pubblicata per la prima volta nel 1996 in inglese, cui fecero seguito un'ulteriore revisione e rifinitura del testo che portarono ad una seconda edizione completata nel 2004, con l’introduzione di ulteriori aggiornamenti caratterizzati da modifiche minime negli anni siccessivi e fino al 2015.
 
Nel 2016 è iniziata la traduzione in italiano.
I traduttori dell’Antico Testamento hanno scelto come testo di partenza il Testo Masoretico della Bibbia ebraica edito nella Biblia Hebraica Stuttgartensia (1977), con il suo esteso apparato di note testuali, aggiornamento della Biblia Hebraica di Rudolf Kittel (Stoccarda, 1937).
I traduttori hanno, inoltre, messo a confronto il testo di riferimento principale con i Rotoli del mar Morto, la Septuaginta (Versione dei Settanta) e altri manoscritti greci, il Pentateuco samaritano, la Peshitta siriaca, la Vulgata latina e tutte le altre versioni o i manoscritti che gettano luce sul significato di brani difficili.
 
I traduttori del Nuovo Testamento si sono serviti delle due edizioni standard del Nuovo Testamento greco: il Greek New Testament, edito da United Bible Societies (UBS, IV versiona riveduta, 1993), e il Novum Testamentum Graece, edito da Nestle e Aland (NA, XXVII edizione, 1993; per l’italiano: NA, XXVIII edizione, 2012).
Queste due edizioni, che hanno lo stesso testo ma differiscono per punteggiatura e note testuali, rappresentano, in linea generale, il risultato più significativo della critica testuale moderna.
 
I traduttori si sono sforzati di fornire un testo facilmente comprensibile al lettore medio, ma che non rischi di diventare in breve tempo desueto al fine di emancipare il più possibile la Nuova Traduzione Vivente da vincoli geografici e temporali.
Si sono volute abbattere anche quelle barriere storiche e culturali che possono costituire un impedimento alla comprensione della Bibbia, cercando di tradurre termini carichi di connotati storici e culturali in modo da favorire una comprensione immediata.
 
  • Sono stati convertiti gli antichi pesi e misure (p. es. “efa” [unità di volume solido] o “cubito” [unità di lunghezza]) nell’equivalente italiano, dal momento che le antiche unità di misura non sono generalmente significative per i lettori di oggi. Nelle note a piè di pagina sono state riportate le misure greche, aramaiche o ebraiche letterali, unitamente agli equivalenti metrici.
  • Anziché tradurre la valuta antica in modo letterale, si sono cercate espressioni comuni di riferimento atte a comunicare il messaggio originale. P. es., nel Nuovo Testamento “denaro” è stato spesso tradotto con “paga giornaliera” per facilitare la comprensione. Una nota corrispondente a piè di pagina legge poi: “lett. un denaro corrispondeva alla paga giornaliera di un operaio”, indicando la resa letterale di greco, aramaico ed ebraico.
  • Dal momento che la maggior parte dei lettori contemporanei ha poca dimestichezza con i mesi ebraici e il calendario lunare ebraico cambia di anno in anno, si sono cercati dei modi chiari per comunicare il periodo dell’anno cui si riferiscono i mesi ebraici. Dove è stata possibile definire una specifica data dell’antichità in base al calendario attuale, si è scelto di farlo. Una nota testuale fornisce poi la data ebraica letterale e indica la logica sottesa alla resa del testo. Per esempio, Esdra 6:15 individua la data in cui fu completato il tempio post-esilico a Gerusalemme: “il terzo giorno del mese di Adar”. Ciò avvenne nel corso del sesto anno del regno del re Dario (vale a dire, il 515 a.C.). Abbiamo tradotto la data con “12 marzo”, inserendo una nota in cui compare l’ebraico con l’identificazione dell’anno 515 a.C.
  • Dal momento che i riferimenti antichi alle fasi del giorno differiscono dai nostri, si è fatto ricorso a espressioni facilmente riconoscibili per il lettore di oggi. Di conseguenza, si è fatto riferimento a momenti specifici della giornata servendosi di approssimazioni legate al nostro computo orario. Di tanto in tanto, dove il riferimento biblico è più generico, sono state usate traduzioni come “la mattina dopo, all’alba” o “quella sera, al tramonto”.
  • Quando il significato di un nome proprio (o un gioco di parole legato a un nome proprio) è rilevante per comprendere il contenuto del testo, una nota a piè di pagina lo mette in luce. Per esempio, in Esodo 2:10 il testo legge: “La principessa lo chiamò Mosè, perché spiegò: 'L’ho tratto dall’acqua’”. La nota corrispondente legge: “Mosè ricorda un termine ebraico che significa trarre fuori da”.

A volte, quando il significato vero e proprio di un nome è chiaro, quel significato viene messo fra parentesi all’interno del testo stesso. Per esempio, il testo di Genesi 16:11 legge: “Gli darai nome Ismaele (che significa Dio sente), perché il Signore ha sentito il tuo grido di dolore”. Siccome uditori e lettori originari avrebbero inteso subito il significato del nome “Ismaele”, abbiamo fornito ai lettori moderni le stesse informazioni percepite da loro così che possano esperire il testo in modo simile.

 
  • Molte parole e locuzioni sono ricche di significato culturale palese per i lettori originari, ma che necessita di spiegazioni nella nostra cultura. Per esempio, la locuzione “battersi il petto” (Luca 23:48) nell’antichità significava che le persone erano molto turbate, spesso in lutto. Nella nostra traduzione si è scelto di rendere la locuzione in senso dinamico per ragioni di chiarezza: “E tutta la folla che era venuta per assistere alla crocifissione, quando vide quel che era accaduto, se ne tornava a casa sconvolta dal dolore”. È stata poi inclusa una nota a piè di pagina con la resa letterale del greco, che legge: “lett. se ne tornava a casa battendosi il petto”. In altri casi simili, tuttavia, si è talvolta optato per illuminare l’espressione letterale esistente per renderla immediatamente comprensibile. Per esempio, in questo contesto si sarebbe potuta ampliare la locuzione letterale greca come segue: “Se ne tornava a casa battendosi il petto dal dolore”. Se optato per questa soluzione, non avremmo incluso una nota testuale a piè di pagina, dal momento che la forma letterale greca appare già chiaramente in traduzione.
  • Il linguaggio metaforico è talvolta difficile da capire per i lettori contemporanei, perciò a volte si è scelto di tradurre o spiegare il significato di una metafora quando sia stato ritenuto che il significato letterale del testo potesse confondere il lettore. Per esempio, il poeta antico scrive: “Il tuo collo è come la torre di Davide” (Cantico 4:4). La similitudine è stata trasformata in “Il tuo collo è bello come la torre di Davide” per chiarire il significato sotteso. Un altro esempio si trova in Ecclesiaste 12:3, che può essere reso letteralmente: “Ricordati di lui… quando le macinatrici si fermano perché sono poche e le donne che guardano fuori dalla finestra vedono in modo sfocato”. Lo si è reso: “Ricordati di lui prima che i tuoi denti – i pochi servitori che ti restano – non siano più in grado di masticare; e prima che i tuoi occhi – come donne che guardano fuori dalla finestra – vedano in modo sfocato”.
  • Se il contenuto del testo originale ha carattere poetico, quel contenuto è stato trasposto in forma poetica italiana, cercando di dividere i versi in modi che chiarifichino e mettano in evidenza i rapporti fra le varie locuzioni del testo. La poesia ebraica fa spesso ricorso al parallelismo, in cui le locuzioni successive reiterano, ampliano e rifiniscono il concetto espresso nel verso o nella locuzione iniziale. Ove possibile, si è cercato di rappresentare questi parallelismi in una forma poetica naturale in italiano.
  • La locuzione greca hoi Ioudaioi viene tradotta letteralmente “i Giudei” in molte traduzioni. Nel Vangelo di Giovanni, tuttavia, il termine non si riferisce sempre in senso generale alla gente giudea. In alcuni contesti si riferisce in senso particolare ai capi religiosi giudei. Si è quindi cercato di catturare le differenze di significato nei vari contesti inserendo termini come “la gente” (e in nota: lett. i Giudei) oppure “i capi religiosi”, dove appropriato.
  • Un fronte di sfida è dato dalla necessità di tradurre con accuratezza il testo biblico antico redatto originariamente in un contesto in cui termini maschili venivano utilizzati con riferimento all’umanità in genere, dovendo rispettare la natura del contesto antico e nel contempo cercare di rendere la traduzione chiara per lettori moderni. Un esempio tipico in questo senso si trova nelle lettere del Nuovo Testamento, dove i credenti sono chiamati “fratelli” (adelphoi). È chiaro dal contenuto di queste lettere che i destinatari erano tutti i credenti, sia uomini sia donne. Pertanto il termine greco è stato normalmente tradotto con “fratelli e sorelle”.
 
In relazione a quei brani in cui il testo si riferisce in senso generale agli esseri umani o alla condizione umana, in alcuni casi si è scelto di usare dei pronomi plurali (loro) al posto del maschile singolare (lui). P. es., una resa tradizionale di Proverbi 22:6 legge: “Insegna al ragazzo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà”. Abbiamo reso il versetto come segue: “Indicate ai vostri figli la strada giusta da seguire; anche quando saranno adulti non l’abbandoneranno”.
Talvolta i pronomi alla terza persona sono stati sostituiti con pronomi alla seconda persona. P. es., una resa tradizionale di Proverbi 22:27 legge: “Chi scava un fosso ci cadrà dentro e chi rotola una pietra verrà schiacciato da essa”. Abbiamo reso il versetto come segue: “Se tendi una trappola ad altri, ci cadrai dentro tu stesso. Se cerchi di schiacciare altri con un macigno, esso schiaccerà te”.
 
È opportuno precisare, tuttavia, che tutti i nomi e i pronomi maschili usati per rappresentare Dio (p. es., “Padre”) sono stati mantenuti senza eccezioni per riflettere con accuratezza il significato che i testi originali della Scrittura intendevano esprimere.
 
Alcuni termini della lingua originale sono stati tradotti sempre in modo sempre coerente, specialmente all’interno di brani sinottici e nel caso di espressioni retoriche ripetute nonché all’interno di alcune categorie lessicali, come i nomi divini e la terminologia tecnica non teologica (per es., forense, culturale, zoologica e botanica).
Per quanto riguarda i termini teologici, si è scelto di aprire il campo a una varietà semantica di termini o locuzioni italiane per tradurre una singola parola ebraica o greca, evitando alcuni termini teologici che non sono di facile comprensione per molti lettori oggi. Per esempio, sono state evitate parole come “giustificazione” e “santificazione”, prese in prestito da traduzioni latine, preferendo invece espressioni come “resi giusti davanti a Dio” e “resi santi”.
 
Molti individui nella Bibbia, specialmente nell’Antico Testamento, hanno più di un nome (p. es., Uzzia/Azaria). Per chiarezza, si è cercato di ricorrere a un’ortografia univoca per ciascun individuo, mettendo in nota lo spelling letterale ogni qualvolta la nostra resa divergeva da esso.
Questa scelta si dimostra particolarmente utile quando si tratta di identificare i re omonimi di Israele e Giuda.
Là dove gli scrittori biblici antichi avevano un chiaro obiettivo teologico nella loro scelta di una variante del nome (p. es., Es-baal/Isboset), i diversi nomi sono stati mantenuti, inserendo una nota esplicativa a piè di pagina.
Per i nomi di Giacobbe e Israele, usati in modo intercambiabile con riferimento sia al patriarca sia alla nazione, si è optato generalmente per “Israele” con riferimento alla nazione e “Giacobbe” con riferimento all’individuo.
 
Nell’antico Testamento, in tutti i casi in cui compaiono, ’el, ’elohim o ’eloah sono stati tradotti “Dio”, se non là dove il contesto richiede la traduzione “dèi”.
l tetragramma (YHWH) è stato sistematicamente reso con “il Signore” in maiuscoletto. Ciò lo distingue dal nome ‘adonai, tradotto con “Signore”.
Quando ’adonai e YHWH compaiono insieme, si è tradotto “il SIGNORE sovrano”. Ciò è utile, fra le altre cose, a distinguere ’adonai YHWH dai casi in cui YHWH compare insieme a ’elohim, dove la combinazione è resa con “il SIGNORE Dio”.
Quando YH (forma abbreviata di YHWH) e YHWH compaiono insieme, è stato tradotto “il SIGNORE DIO”.
Quando YHWH compare insieme al termine tseba’oth, la combinazione è resa con “il SIGNORE degli eserciti del cielo”, restituendo così il significato del nome.
Si è utilizzata la traslitterazione Yahweh nel caso in cui il carattere personale del nome è invocato in contrapposizione con un altro nome divino o con il nome di un altro dio (p. es., vd. Es 3:15; 6:2-3).
 
Nel Nuovo Testamento, il termine greco christos è stato tradotto con “Messia” qualora il contesto indichi un destinatario giudeo. Dove, invece, si può dedurre che il destinatario è pagano, christos è stato tradotto con “Cristo”.
La parola greca kurios è sempre tradotta “Signore”, tranne quando nel Nuovo Testamento il testo cita esplicitamente l’Antico Testamento. In questi casi, il termine è tradotto con “il Signore” e si ricorre al maiuscoletto.
 
La Nuova Traduzione Vivente si serve di diversi generi di note testuali a piè di pagina, tutte indicate nel testo con una “n”.
 
  • Nel caso in cui, per chiarezza, la NTVI rende una locuzione difficile o che potenzialmente può creare confusione in modo dinamico, generalmente si fornisce la resa letterale in nota. Queste note sono introdotte dall’indicazione “lett.” (per “letteralemnte”, ndr), “ebr.” (per “ebraico”, ndr), “aram.” (per “aramaico”, ndr) o “gr.” (per “Greco”, ndr), identificando così la lingua della fonte corrispondente. 
  • Si è fatto ricorso a note testuali a piè di pagina anche per mostrare rese alternative, introdotte da “Oppure”. Queste normalmente compaiono nel caso di passi in cui un aspetto del significato è oggetto di discussione. Di tanto in tanto, si forniscono note su parole o locuzioni che rappresentano un allontanamento da una tradizione longeva.
  • Nel caso in cui i traduttori seguano una variante testuale che differisce significativamente dai testi greci o ebraici di cui disponiamo, la differenza viene documentata in nota. Così come vengono documentati anche quei casi in cui la NLT esclude un passo che è incluso nel testo greco Textus Receptus (noto ai lettori per via della sua traduzione italiana Diodati). In casi simili, viene fornita nella nota una traduzione del testo escluso, nonostante la lezione sia generalmente considerata un’aggiunta successiva al testo greco e non parte del Nuovo Testamento greco originario.
  • Tutti i passi dell’Antico Testamento citati nel Nuovo Testamento sono identificati con una nota testuale a piè di pagina in corrispondenza del passo del Nuovo Testamento.
  • Alcune note testuali a piè di pagina forniscono informazioni culturali e testuali su luoghi, cose e persone della Bibbia probabilmente oscure ai lettori moderni con l’obiettivo di aiutare nella comprensione del messaggio del testo. 
  • Nel caso in cui il significato di un nome proprio (o un gioco di parole legato al nome proprio) sia rilevante in relazione al significato del testo, una nota testuale a piè di pagina o una nota fra parentesi nel testo lo illumina.

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